Mito sogno gruppo


Stefania Marinelli e Francesca Vasta (a cura di) Mito Sogno Gruppo. Edizioni Borla, Roma, 2004 pp. 257, € 22,50 

Collana: Individuo e Gruppo diretta da Stefania Marinelli

Mito Sogno Gruppol testo “Mito Sogno Gruppo”, curato da Stefania Marinelli e da Francesca Vasta, ci permette di focalizzare l’attenzione in particolare su una di queste tre dimensioni: il gruppo.
La presentazione del libro mira ad indicare un ordine prospettico che é quello del gruppo o dei gruppi ai quali l’individuo appartiene e di cui é parte (p.6).

Possiamo pensare al gruppo come al centro dell’esistenza dell’individuo, luogo nel quale egli può esistere ed affermare la propria identità. Ma in quanto spazio dotato di una specifica qualità psichica, particolare dimensione ectopica, come la definirebbe Francesco Siracusano, il gruppo costituisce anche il luogo in cui fantasia e realtà si incontrano e suscitano la produzione di costruzioni immaginarie (F. Siracusano, 1986); l’humus dal quale le trasformazioni fantastiche dei pensieri selvaggi e degli elementi protomentali conducono alla nascita delle ‘idee’ e dei pensieri. Questi ultimi possono trovare espressione nel linguaggio simbolico e metaforico delle produzioni artistiche, delle narrazioni mitologiche ed oniriche.

Ecco, dunque, che il gruppo diviene la cornice ideale entro la quale viene proposto lo studio scientifico del sogno e del mito.
Sembra importante sottolineare che i rapporti tra mito e sogno sono inseparabili. Kaës sottolinea due aspetti presi in esame da Freud per considerare questi rapporti: “il mito oggettiva il sogno, così come la fiaba, la leggenda e la poesia”(p.21).

I vertici di lettura che il testo offre sono comunque molteplici, poiché molteplici sono le tematiche proposte nelle diverse sezioni in cui lo stesso è articolato, ognuna delle quali rimanda ad ambiti applicativi e d’indagine specifici: dal più ampio universo antropologico e culturale ai più circoscritti ambiti istituzionali, formativi e terapeutici.

Le sezioni sono dedicate, in particolare, a il lavoro del mito e del sogno nel gruppo; il social dreaming; il gruppo e l’istituzione; icona simbolo e narrazione; il “legame” tra psicoterapia di gruppo e antropologia; la funzione del mito e del sogno, rispettivamente, nei gruppi di bambini e adolescenti e nella psicoterapia di coppia e familiare.

Nel suo lavoro Pines riferisce che i sogni raccontati durante un’analisi di gruppo hanno risonanza anche per gli altri membri e costituiscono, pertanto, un apporto sia a livello individuale sia a livello di gruppo. Propone l’idea del sogno come mezzo dell’attività della mente per approfondire problematiche profonde (p.11), capace di esplorare e connettere le diverse dimensioni del tempo e dello spazio (interno e del gruppo).

Altri contributi, evidenziano le tecniche che meglio possono essere utilizzate per capire un sogno. Una di queste é quello di risuonarvi emotivamente: un individuo può collegarsi ad un sogno raccontato e relazionarsi ad esso come se fosse suo. In questo modo, attraverso le diverse risonanze emotive del gruppo, emerge il materiale significativo latente del sogno (Friedman, p. 42). Gaburri riferisce che l’organizzazione narrativa onirica di un componente del gruppo sviluppa protopensieri pertinenti la sua situazione emotiva, dando voce al versante mitopoietico (p.69).

Per Marisa Pelella Mélega i sogni sottolineano la possibile trasformazione, in età infantile, delle fantasie inconsce in immagini ludiche e l’equivalenza di queste ultime con immagini/sogno non riuscite negli adulti (p. 98). L’intervento di Corbella ci permette di comprendere meglio il campo gruppale, che a volte si presenta come uno stato mentale complesso. All’interno interagiscono il preconscio superiore, la coscienza e l’io sognante. E’ interessante che in tal modo un membro del gruppo, il terapeuta o il gruppo intero possano trasmettere i messaggi del preconscio e dell’io sognante per la costruzione di un pensiero condiviso. Ciò permette di mediare con i bisogni e i limiti della coscienza che esprime ogni individuo. Il libero fluire del gioco tra preconscio e coscienza della veglia e del sogno, nella vita di ognuno e così nel gruppo stesso, aumenta le sue potenzialità creative e trasformative (p.80-81).

Viene, inoltre, riaffermato il valore della componente manifesta del sogno come espressione della capacità relazionale dell’essere umano, ma anche quello dello stato sognante attenuato della veglia che, determinato dal libero fluire tra conscio e preconscio, favorisce il riconoscimento della vita emotiva (Giannelli, pp.109-10) ed è proprio di una vita psichica sana. Il contributo di Cantarella affronta il tema dell’attribuzione di senso ai sogni più ricorrenti in un gruppo caratterizzato dall’omogeneità di genere (p.119). Mentre Geoffrey Shaskan, attraverso la presentazione di un interessante caso clinico, sottolinea l’importanza della funzione terapeutica del gruppo in pazienti affetti da grave disturbo di personalità, quale è il disturbo borderline. L’autore si sofferma su due caratteristiche del gruppo: distruttivo o creativo. Questo ultimo è quello che permette ai membri di creare dei depositi, ed è in quest’ottica che i gruppi divengono contenitori, involucri, campi (p.87-89). Un gruppo, secondo Anzieu, é un involucro che tiene insieme gli individui. Si parla di un aggregato umano e non di gruppo, infatti, fin quando questo involucro non si é costituito (Anzieu, 1981 in Neri, 1995, p. 58).

Nella sezione dedicata a istituzione e gruppo sarà interessante accostarsi, con Barnà e Brigone, alla comprensione del ruolo che mito e sogno svolgono nelle istituzioni e, più in particolare, nel lavoro di supervisione con i gruppi istituzionali (pp. 146 – 50); scoprire con Bernard Duez come anche “i gruppi istituzionali hanno bisogno di spazi di autorappresentazione” che funzionino “secondo i principi della figurabilità onirica” (p. 158).

Il contributo di Luisa de Bellis riferisce come il gruppo possa costituire “una potenziale dimensione onirica” quando la patologia grave non permette di sognare. Gli spunti di riflessione sono tratti da un gruppo di pazienti gravi che si riunisce in un Servizio psichiatrico ospedaliero. Dal resoconto di tre anni di lavoro, l’autrice ha rilevato che difficilmente emergevano i sogni, mentre riaffioravano da parte dei pazienti racconti molto forti, deliri, vissuti corporei che rispondevano comunque all’idea di potersi pensare come gruppo (pp.162 – 163)

Nel proseguire ci soffermeremo su alcuni dei temi che maggiormente hanno stimolato la nostra riflessione, poiché è impossibile rendere conto in maniera esaustiva di ogni singolo contributo.
Privilegiando quale vertice di osservazione ora l’una ora l’altra delle tre dimensioni considerate (mito sogno gruppo), più autori propongono ed approfondiscono il tema del rapporto di continuità, oltre che di opposizione, tra questi tre importanti “luoghi” della mente individuale e collettiva; il loro fondarsi dagli stessi o, quantomeno, molto simili processi. A proposito dell’analogia sogno/gruppo, Kaës ripropone il concetto di Abraham secondo il quale “il sogno drammatizza mentre il mito assume la forma di un poema” (p.24).

E’ interessante la distinzione proposta da Kaës sulle due modalità dell’immaginario gruppale: l’immaginario esploratore e l’immaginario esplicativo (p.29). Il primo si riferisce al sogno organizzato dai processi primari della figurazione dell’inconscio. Il secondo riguarda il mito che può permettere la creazione di un’autorappresentazione che condivide l’io dei membri del gruppo.

Altri contributi confermano e amplificano tali concettualizzazioni, attraverso la proposta di un susseguirsi di specifiche formulazioni teoriche. Si attribuisce al gruppo carattere di sogno, e ad ogni interazione che si verifica al suo interno carattere onirico (Ancona, p.60). E’ il verificarsi, nel suo ambito, dello stesso processo di condensazione tipico del sogno – scrive Leonardo Ancona – a conferire al gruppo tale carattere, poiché induce tra gli individui il costituirsi di una matrice unificante che si esprime essenzialmente attraverso la comunicazione emotiva, è capace di catturare gli elementi e i pensieri dispersi (p.64) e li esprime attraverso la simbolizzazione onirica e/o mitopoietica

Particolare rilevanza epistemologica assumono le teorizzazioni sviluppate sui temi relativi alla funzione comunicativa, interpersonale, relazionale e sociale che il sogno, classicamente considerato semplice “testimonianza” del mondo interno del paziente può, come il mito, svolgere nell’ambito dei diversi contesti sociali, culturali e istituzionali in cui viene utilizzato; allo straordinario valore elaborativo e trasformativo che l’attività onirica e quella mitopoietica possono assumere nell’ambito della pratica clinica.

Il lavoro di Stefania Marinelli è, in tal senso, una preziosa occasione di riflessione sia clinica sia teorica, per quanti lavorano con i gruppi da un punto di vista psicoanalitico. Assume, altresì, uno spessore di indiscutibile valore euristico ed epistemologico anche perché consente di avvicinarsi in modo nuovo e originale allo studio e alla conoscenza del mito, tra l’altro, attraverso l’analisi delle molteplici valenze che la narrazione mitica assume nell’ambito del piccolo gruppo a finalità analitica e del più vasto gruppo sociale.

L’attenzione dell’autrice è rivolta al mito antico, che include gli elementi fondativi e generativi e consente di rimanere in contatto con il mondo delle origini, ma anche al mito moderno, caratterizzato dalla capacità di contenere il primo e teso a superarlo, attraverso una progressiva riformulazione del suo idioma e dei suoi significati, fino alla nascita di un nuovo mito (p. 51), rigeneratore e mediatore di una rinascita identitaria. Emerge così una disposizione mentale che, come scrive Francesco Comelli nella presentazione di un altro testo di Stefania Marinelli, “Il gruppo e l’anoressia”, dovrebbe essere propria di tutti gli analisti: la capacità di “volgersi alle aree primitive dello psichismo con la stessa curiosità con cui ci si rivolge alle aree della modernità”, di rivolgere al passato un’attenzione uguale all’attenzione per il presente (Comelli, 2004, p. XIII). Anche nel gruppo a finalità analitica si avverte un’esigenza di mantenimento della continuità, di affermazione dell’identità, di ricerca rigenerante degli elementi originari e affettivi della storia del gruppo, per poterli riaffermare rielaborati e trasformati. Per questi motivi l’autrice riconosce al pensiero mitopoietico una funzione essenziale e fondante la vita del gruppo, fin dalle fasi iniziali, poiché contribuisce alla creazione della sua cultura e della sua mentalità di base, essenziale per mantenere la coesione e l’identità del gruppo stesso (p.48).

Frutto di una lunga esperienza clinica con i gruppi è la tesi della rilevanza centrale degli inconsci processi di demitizzazione e rimitologizzazione, cioè di abbandono o recupero e riattualizzazione da parte del gruppo dei suoi miti, processi che sono ciclicamente attivi nell’economia psichica del gruppo e attraverso i quali quest’ultimo cerca nuove risposte e prospettive. Francesco Corrao, dalle cui orme l’autrice si muove per giungere ad ulteriori complesse elaborazioni teoriche, aveva già affrontato la questione relativa ai cambiamenti che accompagnano i processi e le costruzioni narrative. Egli considerava la “peripezia narrativa”, il mutamento (o metabolè) che si produce nel resoconto, una dimensione centrale e strutturale delle grandi narrazioni tramandate e, certamente, anche del mito (Corrao, 1991, 49).

Stefania Marinelli fa notare come all’interno del piccolo gruppo a funzione analitica il cambiamento dei miti non dipende solo da una loro insita capacità o caratteristica strutturale, bensì anche dalle epoche e le vicende che il gruppo attraversa. Il mutamento riguarda lo spazio, più interno ed affettivo, che il mito occupa nel gruppo dopo l’evoluzione conoscitiva prodotta dalla fase mitologica iniziale; la comparsa di nuovi quadri affettivi ed ideativi o “scene modello”, le quali hanno una funzione di facilitazione dei processi di rielaborazione e dello sviluppo del lavoro di gruppo (p.52). E’ grazie a tali mutamenti che il pensiero mitopoietico acquisisce una straordinaria valenza creativa e trasformativa delle vita psichica individuale e collettiva, valorizzando “lo sviluppo e l’uso delle funzioni mentali sane” (Marinelli, 2004, p. 109).

Il tema relativo al rapporto tra sogno e comunicazione anima il dibattito psicoanalitico fin dai tempi di Freud. Ad una prima radicale concezione freudiana del sogno esistente, quale realtà materiale o psichica, indipendentemente dal suo racconto e dall’uso che se ne può fare in analisi, spoglio di qualsiasi intenzionalità comunicativa ed immune a qualsiasi messaggio esterno, abbiamo visto contrapporsi un atteggiamento meno realista e più intersoggettivo che tiene maggiormente conto della dimensione dell’enunciazione e dell’influenza che stimoli esterni significativi, come le parole, possono avere nel costituirsi dei simboli onirici e che, soprattutto, ne ammette la valenza comunicativa (Laplance 2002). Laplance riconosce la “mira comunicativa” che il sogno assume durante l’analisi, la sua “apertura allocutoria”, (p. 225) e sottolinea l’importanza del messaggio esterno nella sua genesi, la fondamentale funzione assunta, in tal senso, dal transfert e dall’analista, cioè dall’altro.

I lavori di Gordon Lawrence e Caludio Neri sul Social Dreaming, metodo utilizzato soprattutto in ambito formativo per la condivisione, all’interno di un contesto istituito, del contenuto sociale dei sogni, confermano la valenza comunicativa, relazionale, di risoluzione creativa dei problemi sociali del sogno e amplificano i significati di questa particolare forma di pensiero, evidenziandone anche gli scopi più specifici.

Claudio Neri sottolinea il valore che il sognare sociale assume anche in situazioni diverse dai quotidiani e ‘normali’ contesti sociali e istituzionali quali possono essere, per esempio, gravi ‘crisi’ comunitarie dovute al verificarsi di eventi traumatici. Tali eventi conducono le persone a una forte convergenza su avvenimenti e sentimenti comuni, e questo facilita il riconoscimento della loro rappresentazione del contesto sociale (p.130). Precisa che lo scopo della condivisione dei sogni non è unicamente quello di favorire negli individui la comprensione del contesto sociale e lavorativo, ma anche la coesione affettiva e il processo di autoconoscenza reciproca, attraverso l’espressione di aspetti di sé che nelle normali interazioni sociali rimangono nascoste.

Pone infine in primo piano la prevalente importanza della narrazione del sogno, rispetto alla sua interpretazione, soprattutto – scrive l’autore – quando la realtà che viene sperimentata nel contesto sociale è particolarmente potente e intrusiva. In questi casi, l’interpretazione ha unicamente la funzione di aggiungere “significati a significati, densità a densità […] e intensifica la costrizione che le persone stanno subendo”, mentre il racconto restituisce a ciascuno la propria voce e consente di recuperate la qualità dell’esperienza personale (p. 136 -7).

Gordon Lawrence, che ha scoperto la tecnica del Social Dreaming agli inizi degli anni ’80, mette in rilievo la dimensione sociale del sogno, individuando la sua origine nella matrice, o rete di rapporti e connessioni reciproche sottesi alla vita del gruppo. Nella matrice di sogno sociale ha individuato più contesti per il sogno. L’ esperienza emotiva sulla quale funziona la capacità di sognare e di elaborare pensieri sul sogno non è più solo quella della coppia ma quella di molti (gruppo, società, tribù, collettivo, razza, specie) da cui derivano gli echi dei pensieri.

Il suo approccio è, dunque, nuovo, anche se non in opposizione con quello psicoanalitico classico (Neri, 2004). I metodi di lavoro utilizzati sono le libere associazioni, ma anche le tecniche dell’amplificazione e del pensiero sistemico, che sostituiscono le interpretazioni. Queste tecniche hanno la funzione di ricercare i pattern che collegano i sogni e di far risuonare il sogno nelle culture, facilitando così la comprensione dei potenziali significati sociali attraverso i quali gli esseri umani vivono.

Egli individua, infatti, fra gli scopi del Social Dreaming quello di conoscenza della società e delle organizzazioni in cui la gente vive, di trasformazione del pensiero, di conoscenza dell’infinito, nel senso del non conosciuto o meglio del conosciuto non pensato (Lawrence, pp. 127 -8). Riprendendo la dimensione narrativa, viene posta una particolare attenzione ancora una volta attraverso la proposta di una pluralità di vertici di osservazione, che hanno origine dal confronto e dal dialogo tra discipline eterogenee.

Preziosi sono i contributi di Giovanna Goretti Ragazzoni e Enzo Scotto Lavina che assumono quali partenrs dialogici la letteratura e l’arte pittorica Nel primo caso la traduzione in un racconto psicoanalitico di un testo letterario di Thomas Mann, “Il giovane Giuseppe”, ripropone la funzione terapeutica della dimensione gruppale della mente e la concezione del sogno quale testimonianza dell’organizzazione del Sé del paziente e dei cambiamenti che il processo di cura può nella stessa produrre.

Nel secondo viene proposta l’analisi di due narrazioni iconografiche di Piero della Francesca le quali, scrive l’autore, leggendo “dentro la realtà del sonno/sogno” (p. 197) sembrano anticipare scoperte avvenute molto dopo anche in ambito psicoanalitico. Ma di particolare interesse, in una prospettiva terapeutica e per la specificità del tema proposto, è, a nostro avviso, il contributo di Francesca N. Vasta, centrato sul valore che la dimensione narrativa riveste all’interno del percorso analitico di cura (p.187), sui significati assunti dalla narrazione onirica e le trasformazioni di senso cui può andare incontro nello specifico setting di gruppo.

Dialogando ancora con Corrao, così come l’autrice propone, possiamo dire che discorso e narrazione costituiscono l’oggetto della psicoanalisi, la via attraverso la quale l’individuo costruisce l’autenticità e veridicità delle sue esperienze; queste trovano espressione nel sogno, nel sintomo, nelle storie che vengono narrate e continuamente trasformate e ri-significate, in funzione della relazione dialogica tra analista e paziente (all’interno della cura psicoanalitica duale), delle relazioni reciproche che si stabiliscono tra i membri del piccolo gruppo e, più in generale, dello specifico setting terapeutico.

In questo senso, il linguaggio e la narrazione costituiscono utili risorse per l’analista, poiché consentono di osservare, all’interno del percorso analitico, come il paziente “utilizzi la sua capacità di pensiero” (p.188), che è una funzione essenziale della mente, indice, pertanto, del successo della cura analitica.

Farancesa N. Vasta si sofferma ad analizzare, in maniera specifica, il tema del rapporto tra la dimensione narrativa e il sogno nel setting gruppale, mostrando come in questo i sogni possano assumere più significati e come sia proprio la dimensione gruppale ad amplificarne la semanticità.

In tale caso, i sogni non possono più essere considerati unicamente espressione del mondo interno del sognatore, dei suoi desideri e delle sue fantasie, così come voluto dal pensiero analitico classico, “ma anche speciali rappresentazioni di pensieri ed idee di quell’individuo in rapporto alle situazioni e ai gruppi sociali in cui sono vissuti” (p.190). In quanto sistema di autorappresentazione, nell’analisi di gruppo, “il sogno assume un duplice significato, poiché assurge alle rappresentazioni sia di gruppo che alla rappresentazione di sé […] di ciò che accade nel mondo interno della persona in base anche alla situazione analitica in cui è coinvolta” (p.191).

Essenziale diviene allora l’assetto mentale di ‘ascolto sognante’ nel quale si dispone l’analista. Tale assetto gli consente, infatti, di attivare un sistema di comunicazione e di ascolto di tipo immaginativo in grado di “valorizzare gli elementi mitici ed onirici della vita psichica del gruppo, di favorire così la creazione di legami, rappresentazioni, pensieri” (Marinelli, 2004, p. XXXI), e l’amplificazione dei significati del sogno più che la sua interpretazione.

Una specifica sezione del testo propone lo studio del sogno e del mito in una prospettiva di transito dall’antropologia culturale alla psicoanalisi, per giungere ad una più complessa comprensione della fenomenologia onirica e del pensiero mitopoietico. L’interesse viene così esteso dal gruppo come dispositivo ‘artificialmente’ costituito per l’indagine e il trattamento delle formazioni e dei processi della realtà psichica (Kaës, 1994, p. 19) ai più vasti gruppi sociali.

Sappiamo dagli studi antropologici che l’esperienza e la narrazione onirica assumono una particolare valenza interpretativa ed euristica anche nelle società arcaiche e primitive, sia per il singolo sia per la collettività. Anche nell’antropologia si è passati dallo studio del sogno in quanto realtà oggettiva da mettere a confronto con i sogni delle società moderne, ad un interesse e un riconoscimento dell’importanza della sua comunicazione, della dimensione contestuale e delle modalità con le quali viene narrato, dunque condiviso, e interpretato.

L’apprezzabilità dei contributi proposti nel testo, a nostro avviso, risiede, tra l’altro, nella loro capacità di stimolare una riflessione sulle differenze o analogie delle funzioni che il sogno e il mito possono svolgere in insiemi gruppali così diversi (piccolo gruppo a funzione analitica/società primitive) e un confronto tra diverse teorie e metodi d’indagine.

Alfredo Lombardozzi descrive, proprio in una prospettiva antropologica, le diverse funzioni (profetica, simbolica, oracolare…), i significati che il sogno può assumere a seconda dei contesi in cui si manifesta e il legame, di ordine simbolico e culturale, che intercorre tra sogno e mito.

In culture diverse, il sogno, proprio come il mito, può assumere, per esempio, una funzione “sacra”, in quanto espressione di quella stessa potenza creativa che nelle narrazioni ed immagini mitiche – spesso a loro volta esito di rivelazioni oniriche – costituisce l’origine del mondo (p.204), ma anche una funzione “pragmatica”, in quanto in grado di indurre azioni e comportamenti, analogamente, potremmo dire, a quanto avviene durante un percorso analitico, nel cui ambito un sogno può essere “indicatore di un funzionamento, ma può anche produrlo e determinarlo nell’altro e nel contesto” (Nicolò, p. 247).

La dimensione collettiva, l’importanza della comunicazione, del contesto e delle modalità con le quali il sogno viene narrato, condiviso e interpretato può essere invece colta nella descrizione di un rituale diffuso presso le tribù del Saara, consistente nell’esecuzione di pitture murali a scopo esorcistico in caso di possessione o manifestazione spiritica di una casa da parte di un defunto. Per l’esecuzione degli amital, così si chiamano queste pitture, vengono utilizzate, appunto, le direttive ricavate dal racconto onirico, dalle interpretazioni fatte dallo sciamano, dalle associazioni dei protagonisti e di quanti sono coinvolti con lui nel processo interpretativo (Giampà et al.)

Le ultime due sezioni del libro ri-propongono e approfondiscono, con la presentazione di un ricco materiale clinico, i temi dell’essenzialità del pensiero onirico per l’evoluzione del lavoro di gruppo e delle valenze che lo stesso può assumere in particolari contesti terapeutici.

Intendiamo riferirci, nello specifico, al piccolo gruppo a funzione analitica con bambini e adolescenti e alla psicoterapia psiconalitica di coppia e familiare. In questo ultimo ambito il valore polisemico del sogno si amplifica ulteriormente.

Il contributo della Nicolò (p.246) propone un approccio analitico nel setting familiare e di coppia. In questi casi è probabile che uno o più membri raccontino diversi sogni. Il compito dell’analista è allora particolare in quanto deve riuscire a capire quanto il sogno portato dal singolo racchiude contenuti personali o del gruppo familiare o di coppia di cui il singolo diviene portavoce. Aggiunge che, nel contesto familiare o di coppia, il sogno ha come interlocutore non solo l’analista, ma anche l’altro, il partner nell’interazione, marito, moglie, figlio o fratello. Così non é solo indicatore di un funzionamento, ma anche lo produce e lo determina nell’altro e nel contesto.

I contenuti del sogno possono costituire “una sorta di comunicazione e narrazione simbolica sulla relazione”; rappresentare “uno stato mentale condiviso […], di cui uno dei due partners diventa inconsciamente portatore” (Lupinacci, Zavattini, pp. 239, 240); svolgere una funzione di ponte con l’inconscio della famiglia, di cui il sognatore si fa portavoce, oltre che dell’inconscio individuale.

Il sognatore diviene, in sostanza, il portatore e il rappresentante, non solo il depositario, delle fantasie inconsce, dei sintomi, delle storie e delle memorie del gruppo cui appartiene. Assume quella che René Kaës definisce funzione forica, la quale designa ciò che un soggetto porta e trasporta nel gruppo (Kaës, 1994, p. 277), contribuendo alla formazione della sua realtà psichica, ma anche il processo inverso. E siamo arrivati al lavoro con i bambini e con gli adolescenti. Questo riveste da sempre estrema importanza per la psicoanalisi di gruppo e richiede un attento e sensibile impegno, oltre ad un rigore metodologico, nella ricerca e nella pratica clinica. I contributi di Lucilla Ruberti e Marco Bernabei, costituiscono una testimonianza di questo impegno, sensibile soprattutto agli aspetti affettivi ed emozionali, e di questo rigore.

I vertici dai quali gli autori si muovono sono ancora una volta la narrazione onirica e il gruppo.
Un’altra particolare funzione d’importanza centrale del sogno, della sua narrazione – rileva Marco Bernabei – è quella relativa al problem solving nei gruppi con bambini. L’autore riferisce che alcuni sogni fatti nei gruppi con bambini e adolescenti permettono di verificare un passaggio evolutivo, in particolare perché i materiali onirici possono indicare una soluzione ad un problema avvertito sia dal sognatore che dal suo stesso gruppo. Pertanto l’attività onirica si può considerare non solo come promotrice di una generica funzione problem solving ma anche come funzionale a indicare soluzioni specifiche proprio per quel gruppo e i suoi partecipanti. In quest’ottica la soluzione trovata dal sognatore ad un suo problema può rispondere ad una difficoltà vissuta anche dagli altri membri come un problema di tutto il gruppo. (p.225).

In età infantile e adolescenziale, il gruppo rappresenta lo spazio nel quale i piccoli pazienti possono giungere a scoprire la loro identità; a veicolare e a dare rappresentazione, seppure in modo simbolico, alle emozioni e alla parole; all’elaborazione del linguaggio (Ruberti, 1990).

Sono le parole, i discorsi, i racconti a conferire senso e realtà alle vicende degli individui e dei gruppi. Con le parole gli individui comunicano le emozioni e i pensieri, principali aree di indagine per la pratica clinica.
Il linguaggio, tuttavia, non sempre costituisce lo strumento espressivo più immediato e facilmente accessibile per i bambini, i quali, più di noi, hanno difficoltà ad esprimere verbalmente le loro emozioni, a “dare un nome” al dolore e alla paura.

Soprattutto se molto piccoli, o se presentano problemi di comunicazione, utilizzano anche in gruppo un linguaggio prevalentemente non-verbale: linguaggio corporeo, giochi, disegno costituiscono – come fa notare nel lavoro proposto Lucilla Ruberti – gli unici veicoli di comunicazione in grado di filtrare e rappresentare emozioni e pensieri indicibili.

Da tali modalità espressive simboliche e metaforiche si giunge, grazie alla forza evocativa delle immagini e attraverso un graduale processo evolutivo, del quale la comparsa del sogno rappresenta la tappa più significativa, alla nascita della parola e del linguaggio nel gruppo. “Il sogno – scrive ancora l’autrice – evoca la trasformazione che ha consentito la nascita della parola (p. 219). La serie onirica con la sua immaginazione e partecipazione consente il transito verso la pensabilità e rende possibile la memoria del gruppo come trama affettiva dalla quale potersi espandere in nuove intersezioni di azioni, parole, pensieri” (p.221).

A conclusione di questa panoramica possiamo affermare che Mito Sogno Gruppo è, senza dubbio, un testo di ampio respiro. Come in un movimento caleidoscopico, la lettura dei numerosi contributi proposti, delle molteplici, sinfoniche concettualizzazioni teoriche ed esemplificazioni cliniche presentate dagli autori offre spunti di riflessione multiple e incrociate e fornisce, come abbiamo visto, insight non solo a carattere psicoanalitico, ma finanche sociologico, antropologico, letterario, artistico.

La scelta delle curatrici di offrire uno spazio di riflessione aperto al confronto tra differenti modelli di psicoterapia di gruppo e di ricerca in campo psicoanalitico, che privilegia un approccio interdisciplinare contribuisce, dunque, a conferire al testo particolare valore scientifico.

Bibliografia aggiunta

Comelli F. (2002), Presentazione. In Il gruppo e l’anoressia, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Corrao F. (1991), Trasformazioni narrative. In Ammaniti M., Stern D. N. (a cura di) Rappresentazioni e Narrazioni. Laterza, Bari.

Laplance J. (2002), Chiusura e apertura del sogno. Bisogna riscrivere il capitolo settimo?. In Rivista di psicoanalisi, XLVIII, 1.
Kaës R. (1994), Il gruppo e il soggetto del gruppo, Borla Edizioni, Roma 1 Marinelli S. (2004), Il gruppo e l’anoressia, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Neri C. (2004), Introduzione al Social Dreaming e resoconto di due workshop tenuti a Raissa e Clarice Town. In G. Lawrence (a cura di), Esperienze nel Social Dreaming, Borla, Roma, 2004
Neri C. (1997), Gruppo, Borla

Ruberti L. (1990), La circolazione degli affetti nello spazio di un gruppo infantile. In Gruppo e funzione analitica, 1.
Siracusano F. (1986), L’esistenza ectopica del gruppo. In Gruppo e Funzione Analitica, 1.